mercoledì 8 ottobre 2014

Art.18 Conflitto interno alla sinistra? Niente affatto!


La discussione sull'Art. 18 è arrivata al suo culmine e i politici vorrebbero farci credere che il conflitto sia solo politico, solo ideologico, solo interno alla sinistra e che in fondo non riguardi la quotidianità di ognuno di noi.

Non è affatto così!

Il conflitto riguarda ognuno di noi e gli schieramenti contrapposti sono i soliti: destra e sinistra.

C'è chi pensa che il lavoro sia un DOVERE e un privilegio da tutelare ogni giorno con il proprio impegno, la correttezza e l'onestà e c'è chi invece lo ritiene un DIRITTO che una volta acquisito è imprescindibile  e che una volta "tutelato" il lavoratore possa godere indiscriminatamente dei benefit che derivano dal suo status.

Si, perché anche i lavoratori si dividono in destra e sinistra!

Se da un lato troviamo la persona coscienziosa e di sani principi che, per esempio, programma le sue cure sanitarie in Agosto per evitare di gravare sulla propria impresa e sui contribuenti e si disimpegna dal lavoro in periodi lontani dalle ferie dall'altro troviamo quella che invece programma la sua convalescenza nel periodo più lontano possibile dalle feste comandate per unire alla convalescenza un periodo di riposo retribuito.

- Senza contare il fatto che ogni volta che un "lavoratore" si avvale dell'infinità di tutele di cui gode va a gravare sui contribuenti allontanando sempre di più la possibilità di allentare la morsa fiscale. - 

Se ci sono lavoratori che programmano i propri impegni in modo tale da non sottrarre all'impresa il proprio contributo nei momenti cruciali dell'attività dall'altro ritroviamo le donne che misteriosamente restano incinte subito dopo aver firmato il contratto a tempo indeterminato, gli uomini che si assentano dal lavoro il lunedì ed in occasione delle partite di "coppa" o in prossimità dei cosiddetti "ponti feriali".

Per non parlare poi di tutti i meccanismi che scattano quando il lavoro viene meno: Cassa integrazione, disoccupazione, assegni di solidarietà, sussidi e spese pagate. Tutti che pesano sul bilancio dello Stato e quindi sui contribuenti che impotenti vedono allontanarsi sempre più il miraggio di vedere ridurre la pressione del fisco.

E' una questione di concezione del dovere e del lavoro.

Esistono persone che si identificano con il proprio lavoro e che vivono i successi delle proprie aziende in prima persona e che trovano gratificazione nella qualità di quel che producono e nel sentirsi parte di una filiera virtuosa ed altre che vedono il loro lavoro come una incombenza da svolgere disinteressatamente con il solo fine di procurarsi la busta paga e se ne infischiano di sapere se ciò che producono si venda o meno, che si tratti di un buon prodotto o di uno di scarto o se dal loro lavoro si ricava profitto o no.

Ecco perché c'è chi non si preoccupa dell'abrogazione dell'art. 18 e chi ne fa una questione di vita o di morte ed ecco perché si dovrebbe restituire al lavoro la dignità di essere un privilegio da conquistare e mantenere ogni giorno con il proprio impegno, la dedizione, l'onestà e il comportamento retto.

Anni di lotte sindacali hanno elevato il lavoro ed i lavoratori ad essere il terzo socio dell'imprenditore che dopo aver fatto i conti con se stesso deve farli con lo Stato Esattore ed infine con la sanguisuga- operaio. Abolire l'artt. 18 ci riporterebbe verso uno scenario che riporterebbe l'imprenditore ad operare in un habitat più favorevole e a poter disporre del lavoro come di qualunque altro fattore della produzione modulando il proprio investimento in funzione delle necessità del momento o della volontà di espansione. Senza contare che gli restituirebbe la dignità di essere perlomeno pari ai suoi dipendenti e di potersi godere in santa pace i suoi giorni di convalescenza sapendo che così come per lui anche tra i suoi dipendenti "chi non lavora non mangia".



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